CAPITOLO N° 1
Stato sanitario, stadio di maturazione, raccolta, conservazione, trasporto e lavaggio.
Stato sanitario: le olive devono essere sane, raccolte sulla pianta e non fra quelle già a terra; devono essere senza tracce di fumaggine (Capnodium elaeophilum), cicloconio o occhio di pavone (cicloconium oleaginum), né devono avere, né avere ospitato larve di tignola (prays oleellus) o di mosca (dacus oleae).
Stadio di maturazione: non è possibile stabilire una data valida di inizio raccolta per tutte le zone e per tutte le annate; inoltre alcune cultivar portano a maturazione i frutti prima di altre, per cui occorrerà tenerne conto, come si dovrà tener conto del prodotto che si intende commercializzare, iniziando la raccolta dalle cultivar più precoci, quando le drupe (olive) cominciano ad invaiare (cambiare colore) e mostrano la buccia parzialmente o totalmente scura e la polpa bianca.
Si ricordi che le olive immature o comunque non invaiate tendono a conferire all’olio caratteristiche organolettiche talvolta eccessive, quelle invaiate o al giusto grado di maturazione danno aromi più armonici ed equilibrati, infine le olive mature tendono a conferire all’olio sapori ed odori lievi, mandorlati e poco caratteriali, ma se adeguatamente lavorate danno un prodotto che in taluni areali può essere molto apprezzato.
In genere, sbagliando, si raccoglie a date prestabilite, senza tener conto dell’anticipo o del ritardo di maturazione che l’andamento climatico può aver causato, e, in molte zone, si raccoglie troppo tardi.
Laddove non si é costretti ad attendere che le olive cadano da sole dalle piante, qualunque sia la zona e la cultivar, si può avere olio extra vergine di qualità; se non lo otteniamo ciò dipenderà probabilmente dalla scarsa sanità delle olive, da ritardo nella raccolta o da erronea lavorazione.
Si deve tener conto che la fase della completa maturazione fisiologica della drupa non coincide affatto con la migliore qualità “tecnica” del frutto. Per estrarre un ottimo prodotto occorrerà quindi raccogliere prima del completamento del ciclo biologico. Infatti le ricerche hanno dimostrato che via via che l’oliva matura l’olio si accumula in particolari cellule respiratorie (mitocondri) che si modificano sino ad assumere l’aspetto di piccoli sacchetti (vacuoli oleari), ove si iniziano a formare quei processi enzimatici ossidativi che con la disgregazione delle molecole grasse libereranno l’energia che sarà messa a disposizione della nuova pianta. Quanto tempo prima della maturazione fisiologica si dovrà raccogliere è difficile da dire: sarà l’esperienza del coltivatore e le necessità commerciali ad indicare, con il tempo, una data che concili la resa in olio con la qualità più opportuna.
A questo proposito non è male ricordare che da un certo punto in poi la resa in olio delle olive aumenta solo apparentemente; vari studi indicano che l’inoleazione della drupa inizia già in agosto (periodo medio per l’Italia) e si conclude in novembre, per cui oltre questa data l’aumento di resa è solo apparente poiché varia con la disidratazione (diminuzione della parte acquosa nel frutto) il rapporto fra peso totale ed olio estratto.
Si potrebbe stabilire, come norma generale, che se, con olive sane, ben conservate e ben lavorate, si ottiene un olio con un’acidità superiore a 0,6 significa che si è raccolto troppo tardi.
Raccolta: come già accennato precedentemente, operando il distacco della drupa dalla pianta sicuramente utilizzeremo per l’estrazione olive che non hanno ancora completato il processo che porta naturalmente, per le normali funzioni fisiologiche della pianta, all’ossidazione l’olio. Fra i migliori sistemi di raccolta per la qualità dell’olio è il distacco operato a mano con l’aiuto di pettini o cogliolive di varia foggia che fanno cadere le drupe su reti o paracadute posti a terra. Negli ultimi tempi sono apparse in commercio varie attrezzature per compiere con più rapidità queste operazioni (vibratori/spazzolatori sia idraulici che pneumatici) che migliorano il rendimento dell’operatore e non arrecano danni alle olive. Lo stesso dicasi per i vari tipi di macchine raccogliolive che riducono, in qualche caso, l’intervento manuale al solo operatore che manovra la macchina.
Sono vivamente da sconsigliare la “bacchiatura” con canne o bastoni e la raccolta a terra delle olive in cui si mescolano quelle appena cadute con quelle già a terra da tempo.
Per le ragioni esposte nella parte relativa allo stadio di maturazione, non consentono di raggiungere un buon livello di qualità, nell’olio estratto, le pratiche, diffuse in certe zone, di stendere, per tutta la durata della fase di maturazione, delle reti sotto gli olivi, dove periodicamente si procede alla raccolta delle olive che il vento e la maturazione fanno cadere; così facendo, anche con raccolte frequenti, si ottiene, per bene che vada, un olio “dolce” e poco fruttato.
Conservazione: l’optimum, fin dalla raccolta in campo, è la conservazione in cassette basse (20,30 cm.) ampiamente finestrate, di legno o plastica che possono essere stoccate una sopra l’altra possibilmente in locali freschi, ben areati, al riparo dall’acqua, dal vento, da rischi di gelate e specialmente lontano da odori sgradevoli (stalla, gasolio e simili); accettabile anche la conservazione in graticci, purché con uno spessore che non superi i 10 cm.. Occorre evitare la conservazione in sacchi di iuta o, peggio ancora, in sacchi di plastica come pure la conservazione in cumuli a terra e, per quanto è possibile limitare infine maneggiamenti e lunghe conservazioni anche se effettuate in condizioni ottimali.
Le olive distaccate dalla pianta tecnicamente continuano la loro “vita”, ovvero continuano le funzioni respiratorie, l’incremento di temperatura delle olive in cumulo o nei sacchi è dato da questa attività, pertanto sembra accertato che finché dura l’attività respiratoria non si pregiudica la qualità dell’olio, tale attività, in relazione alle condizioni ambientali, sembra naturalmente decadere nelle migliori condizioni entro due tre giorni. Pertanto questo si deve ritenere come il tempo massimo di conservazione delle olive prima della lavorazione.
Trasporto: le cassette precedentemente indicate possono essere convenientemente usate anche per il trasporto al frantoio, oppure, se ne può rovesciare il contenuto in grossi cassoni, forati per una adeguata areazione, di plastica ( ce ne sono in commercio alcuni, sovrapponibili, che possono contenere fino a Ql. 4 di olive). Questi cassoni, areati da tutti i lati, rappresentano la migliore soluzione alla movimentazione ed al breve stoccaggio nel frantoio delle olive, in quanto con l’uso di carrelli elevatori con piastra girevole si possono compiere tutte le operazioni successive all’arrivo nello stabilimento di trasformazione con un grande risparmio di mano d’opera e di spazio.
Con grosse quantità, purché l’arrivo alla frangitura sia sollecito, si può anche utilizzare il metodo del trasporto sfuso, attenzione poiché con olive fresche in massa si sono verificate già notevoli incrementi di temperatura in appena quattro ore; da evitare, come già accennato, i sacchi e comunque le soste prolungate in olivaio (luogo normalmente più caldo di quello ritenuto ottimale per la conservazione).
In sostanza è importante tener presente in questa fase, come nelle precedenti, che la norma fondamentale da osservare è di non far trascorrere troppo tempo (massimo 2-3 giorni) fra il momento della raccolta e quello della frangitura al fine di evitare processi fermentativi ed ossidativi. (a chi volesse approfondire l’argomento consigliamo di leggere la relazione del Prof. Montedoro al 18° Congresso della Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse, pubblicato sulla rivista della S.S.O.G. dell’Ottobre 1987).
Sosta in frantoio: In questa fase i pericoli maggiori sono due:
a – che le olive sostino troppo in frantoio ed in modo non appropriato;
b – che vengano mescolate partite di olive sane con olive scadenti o avariate.
Per evitare questi rischi le olive devono arrivare in frantoio secondo un programma ben preciso al fine di evitare inutili soste. All’arrivo, le olive, devono essere controllate da un responsabile che ne deve giudicare lo stato sanitario; dovendo lavorare partite di olive non sane si dovrà procedere nel modo seguente: nei frantoi dove si pratica la frangitura a partite distinte, dovrà essere cura del frantoiano lavare successivamente ad ogni partita in modo ben accurato le macchine d’estrazione; nei casi dove l’agricoltore conferisce o vende le olive al frantoio e, comunque quelli dove non si pratica “il partitario”, dovranno essere lavorate le olive per partite omogenee e poi, quando si passa da olive avariate a quelle sane, lavate le macchine e tenute distinte le varie partite di olio.
Sono da evitare comunque, come abbiamo visto precedentemente, la lunga permanenza in frantoio, la conservazione in sacchi, lo scarico a terra in cumuli e lo spostamento con pale meccaniche. Deve inoltre essere precluso l’accesso all’olivaio a macchine a combustione interna ed utilizzare unicamente macchine o mezzi a trazione elettrica.
Lavaggio: le olive devono essere ventilate per asportare polvere, rametti e foglie (la presenza di qualche foglia sana non pregiudica la qualità del prodotto e conferisce un sapore fresco, piccante, in genere apprezzato dai consumatori), quindi sottoposte a lavaggio in corrente d’acqua fredda per l’allontanamento di terra e corpi estranei; il passaggio infine su griglie vibranti contribuisce all’allontanamento dell’acqua e la divisione delle olive da sassi e piccole pietre. Con alcuni tipi di frangitori risulta indispensabile porre un ciclonatore prima della vasca di lavaggio al fine di allontare completamente tutti gli oggetti pesanti, pietre, sassi, pezzi metallici od altro che potrebbero causare grossi danni all’apparato.
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CAPITOLO N° 2
FRANGITURA: macchine, metodologia e cura.
Tale operazione ha lo scopo di rompere le olive determinando una pasta composta da tutte le parti vegetali, atta alle lavorazioni successive.
Macchine: i frangitori moderni si dividono in due gruppi; i frangitori a molazze e quelli a martelli.
Negli oleifici operanti con il sistema della pressione, I’operazione di frangitura viene generalmente effettuata con il frantoio a molazze, che rappresenta il sistema di molitura più antico e che, nella sua forma più moderna e progredita, è costituito dalle seguenti parti:
- macina di fondo, di granito,
- bacino, o vasca, di materiale metallico di diametro adeguato; provvisto di apertura laterale per lo scarico della pasta;
- molazze verticali, di granito, in numero di 2 o 3 (in qualche caso anche 4-6), a forma cilindrica o ellittica e talvolta tronco-coniche (Spagna), con diametro variabile da cm 90 sino a 140 e base di appoggio (o scalzo) di cm 30-40 per le cilindriche, 10-15 le ellittiche e 45-80 le tronco-coniche. Le molazze hanno la superficie laterale scabra ed un peso variabile da q 4-5 sino ad oltre 30.
- raschiatori delle molazze e del bacino;
- palette rimescolatrici, che hanno il compito di portare continuamente la pasta sotto le molazze;
- pala di espulsione della pasta dal bacino;
- organi di movimento.
I frantoi a molazze hanno una capacita di 300-500 kg di olive ed assorbono una potenza di 5-8 kW, la velocità di rotazione è di 12-15 giri al minuto.
Il frantoio a molazze non ha la sola funzione di rottura delle olive, ma anche quella di “gramolare”, pertanto la sua azione deve essere sufficentemente lunga per adempiere alla duplice funzione.La frangitura delle olive si protrae, a seconda del tipo di macine e delle caratteristiche delle olive, da 15 a 30 minuti fino ad ottenere una pasta omogenea e di opportuna consistenza.
L’incidenza esercitata dal tipo di molazza e dalla durata della frangitura è direttamente proporzionale alla variazione dei rendimenti in olio conseguibili con la pressione sino ad un determinato livello oltre al quale si verifica una variazione di tendenza. La riduzione del nocciolino a dimensioni troppo piccole determina, per ostruzione delle porosità, condizioni sfavorevoli al corretto drenaggio del sistema e la diminuzione del flusso del mosto con conseguente minore rendimento di estrazione.
Prolungare, del resto, I’operazione di frangitura con le molazze, oltre il tempo ottimale, risulta negativo anche perché compaiono fenomeni legati all’effetto ossidativo che possono ridurre la dotazione di quelle sostanze che concorrono a determinare la serbevolezza dell’olio .
Al frantoio a molazze viene riconosciuto fondamentalmente il merito di realizzare la frangitura delle olive senza eccessive sollecitazioni meccaniche, senza determinare pregiudizievoli emulsionamenti e senza pericoli di inquinamenti da metalli, che sono tutti requisiti importanti in rapporto alla qualità dell’olio.
Esso, inoltre, consente:
- di poter preparare le paste rapportando la frangitura alle caratteristiche delle olive, riducendo i noccioli in frantumi di dimensioni volute
- di realizzare una rottura delle cellule molto spinta
- di favorire la formazione di goccioline di olio di maggiori dimensioni sostituendo, parzialmente, la successiva gramolazione;
-di non provocare aumenti di temperatura della pasta.
Proprio per questi motivi viene talvolta utilizzato anche dagli oleifici dotati di impianti di centrifugazione, pur presentando gli svantaggi di essere ingombrante e costoso e di svolgere un lavoro lento e discontinuo.
Attualmente alcuni oleifici, che adottano il frantoio a molazze per la frangitura delle olive, si
sono dotati di un prefrangitore metallico, da installare a monte del frantoio, per ridurre i tempi dell’operazione di molitura.
Per ulteriori informazioni consultare L.Di Giovacchino “Frangitura” OLEUM n. 36 – APRILE 1991
I martelli; sia quelli fissi che flottanti operano una frangitura estremamente rapida e fine ma tendono a vaporizzare una frazione della pasta, producendo dei fumi che devono essere prontamente allontanati con aspiratori o camini. Un’ottima preparazione della pasta è l’obiettivo principale di questa fase; per un’ottima preparazione si deve intendere una “giusta pezzatura” della frazione di oliva (e particolarmente del nocciolo). E’ di ostacolo ad una buona resa sia un nocciolo di pezzatura molto grossolana che un nocciolo polverizzato; in pratica ,ponendo la pasta fra le dita, quest’ultima si deve sentire fluida, pur avvertendo le minute frazioni del nocciolo quasi pungere i polpastrelli. E’ di fondamentale importanza la presenza di queste frazioni di nocciolo che nel “continuo” favoriscono la “spiaggiatura”, ovvero la separazione in centrifugazione della parte liquida dalla solida che tramite queste piccole particelle drena come, appunto, fa l’acqua sulla sabbia nella spiaggia. I frangitori a martelli provocano sicuramente una maggiore emulsione delle particelle di olio, ma sembrano in grado di estrarre più colore dalle olive mentre le molazze, che non hanno controindicazioni come metodo di frangitura, se non la lentezza dell’operazione, sembra che possano, laddove lo si ritenga eccessivo, attenuare l’amaro nell’olio.
Metodologia: le olive devono arrivare ai frangitori in flusso continuo e in modo equilibrato in funzione della capacità di frangitura delle macchine; un eccesso di olive, oltre ad intasare la gabbia (nel frangitore a martelli) può compromettere la qualità della pasta . Nelle molazze l’esperienza insegna l’esatto quantitativo da immettere che varia in funzione della qualità delle olive e stato di maturazione.
Cura: i frangitori, per la loro stessa funzione, sono macchine soggette a forte usura, perciò è indispensabile un continuo controllo dello stato delle gabbie e dei martelli, nei frangitori continui, e dell’esatto parallelismo delle ruote rispetto al piano di lavoro, nelle macine. Inoltre, è utile controllare frequentemente durante la lavorazione, la qualità della pasta, che come abbiamo visto deve essere ben macinata, morbida al tatto e non contenere frazioni grossolane di nocciolo, che danneggerebbero le pompe volumetriche, né di polpa, che comprometterebbero una buona resa in olio.
Recenti studi sembrano indicare nelle operazioni di frangitura una formidabile possibilità di influenzare macroscopicamente la qualità organolettica finale.
Infatti era nota da tempo la possibilità di limitare fortemente, in alcune cultivar, in relazione a particolari condizioni agroclimatiche, la senzazione amaro-legnosa intervenendo con modalità di frangitura differenti.
Gli studi hanno indicato che determinate frazioni fenoliche quali Agl.oleoperina, Agl.ligustroide e Deacetossioleoperina sono fortemente influenzate da particolari lavorazioni in dipendenza sia della grandezza che, pare, dalla struttura spaziale della pasta di olive.
Le ricerche ancora in corso sembrano dimostrare che particolari accorgimenti nella fase della frangitura possano determinare il favorire o meno sia dell’ossidazione che dell’assorbimento di sostanze aromatiche contenute nell’oliva da parte dell’olio.
Come regola generale si può indicare che le olive acerbe, ricche di sostanze aromatiche amare ed aggressive si avvalgono di una frangitura soft e grossolana per armonizzare o comunque non accentuare la senzazione organolettica estrema, viceversa olive mature lavorate con una pezzatura più piccola possono estrarre maggiori sostanze aromatiche.
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CAPITOLO N° 3
GRAMOLATURA: macchine, uso evoluzione e cura.
Macchine: la pasta ottenuta con i sistemi visti nel capitolo precedente, deve essere sottoposta all’operazione di gramolazione.
Tranne la frangitura a macine, che di fatto è una frangigramolazione, tutti gli altri sistemi di frangitura richiedono un’operazione accessoria che si chiama “Gramolazione”.
La gramolatura ha lo scopo di “aggregare” l’olio presente nella pasta, e cioè ottenere che le piccole gocce d’olio si uniscano fra di loro in modo da formare gocce di volume più grande atte a favorirne l’allontanamento dalla pasta nell’operazione di estrazione. La frangigramolazione delle macine è un’operazione che necessita un tempo prolungato e come tale penalizzante al fine di ottenere quella costante produzione richiesta dai sistemi moderni di estrazione, infatti la frangitura con le macine si presta ad un utilizzo ottimale per i sistemi “tradizionali” caratterizzati da una più o meno lunga sosta fra le varie operazioni tanto che viene ad essere definita operatività alternata, contro i sistemi più moderni che si definiscono continui.
Per raggiungere un buon risultato di aggregazione occorre “muovere” con movimenti lenti la pasta e portarla a “maturazione”, ovvero far affiorare naturalmente l’olio sulla pasta, alla temperatura massima consentita (per non compromettere la qualità dell’olio si consiglia di tenere la pasta intorno ai 25 gradi). I tempi necessari a portare a termine la gramolatura differiscono in rapporto alle cultivar ed al grado di maturazione e possono andare dai 15 minuti o meno per olive mature, sino ai 60 per quelle acerbe o di particolari zone. In genere 25-30 minuti sono un tempo medio, recenti studi hanno messo in evidenza una relazione fra i componenti polari minori e tempo di gramolatura, quindi in caso di gramolatura affrettata o prolungata si può parlare anche di una diminuzione di qualità.
Inoltre una serie di studi recenti dimostrano che la gramolazione può influire positivamente o negativamente sul risultato organolettico finale.
Attualmente possiamo dire che in presenza di olive immature conviene prolungare le operazioni di gramolazione, in presenza di olive mature i tempi devono essere drasticamente ridotti.
Inoltre appare indiscutibile che le varie cultivar richiedono un tempo operativo appropriato, in poche parole solo un adeguata esperienza operativa può determinare gli standard specifici per varietà e stadio di maturazione.
In linea di massima tempi prolungati di gramolazione portano la sensazione, nell’olio prodotto, di grossolano ( sensazione tattile buccale sgradevole di grasso) al primo stadio sino alla sensazione di morchia o sansa nei casi estremi.
Una gramolazione ridotta comporta una drastica diminuzione di resa, accertati casi di 2 sino a 4 kg. di olio in meno per ql. di olive, con una ridotta dotazione polifenolica, tanto da determinare sensazioni squilibrate nell’esame organolettico.
E’ pertanto opportuno, con prove, definire i tempi medi di gramolazione che consentono di ottenere oli ben dotati di polifenoli e gradevoli al gusto e la miglior resa possibile, sia chiaro che di fatto si tratta di definire il miglior compromesso, non per niente la gramolazione è l’operazione più ossidativa in tutto il ciclo estrattivo, e pertanto è il maggior rischio per la qualità.
Le macchine, chiamate “gramole”, sono dei serbatoi orizzontali di capacità variabile da kg. 100-150, per piccoli impianti d’estrazione, sino a 5-6 vasche della capacità unitaria di kg.600 di pasta per complessivi kg. 3.600, per grossi impianti.
Tali vasche, oggi, sono tutte di acciaio inox con intercapedine laterale in cui far scorrere acqua a temperatura controllata in modo da garantire il riscaldamento della pasta sino ai livelli voluti.
Il movimento della pasta è ottenuto da una coclea centrale a basso regime di giri, 16-36 al minuto con palettatura di disegno particolare che consente un continuo movimento della pasta tipo l’impastatura della farina per il pane.
Inoltre la coclea consente, nel momento dell’estrazione, il lento, ma costante deflusso della pasta verso la pompa di trasferimento.
In taluni tipi di vasca al trasferimento della pasta alle pompe è delegata una coclea ad elica posta in posizione inferiore alla vasca in un semitubo ricavato nella gramola stessa, tale sistema consente una maggiore efficenza di svuotamento ed una perfetta pulizia della vasca dalla pasta.
Per ulteriori informazioni consultare lo studio “olio extravergine d’oliva e componenti polari minori: influenza dei sistemi e delle condizioni di estrazione” A.Mattei, C.Stella e M.Osti 1988 FI).
Cura: la gramolatrice è in assoluto la macchina ove più a lungo sosta la pasta di olive, perciò è fondamentale la continua cura igienica; occorre prestare molta attenzione alla permanenza di residui di pasta, che deteriorandosi possono conferire odori e sapori sgradevoli (principalmente di rancido) alle paste fresche in lavorazione.
E’ obbligatoria, in caso di sosta nella lavorazione per più di 8/10 ore e, come abbiamo già visto, nel caso di olive non sane, la pulizia radicale delle vasche con acqua calda ad alta pressione, ponendo particolare attenzione ai residui lignei (nocciolino) che se trasferiti alle pompe( specialmente quelle monovite con statore in gomma) può danneggiarle irrimediabilmente.
Recentemente sono state compiute delle prove tese a razionalizzare l’uso dell’acqua, infatti sembra possibile utilizzare in gramolatura parte delle acque di vegetazione fresche per diluire, se ce ne fosse bisogno, la pasta e sembra pure possibile utilizzare l’acqua di vegetazione per la pulizia delle vasche, fra una partita e l’altra.
Recentemente sono state compiute delle prove tese a razionalizzare l’uso dell’acqua, infatti sembra possibile utilizzare in gramolatura parte delle acque di vegetazione fresche per diluire, se ce ne fosse bisogno, la pasta e sembra pure possibile utilizzare l’acqua di vegetazione per l’asportazione dei residui di pasta dalle vasche, fra una partita e l’altra.
Inoltre sono allo studio vari sistemi per ovviare o comunque limitare il problema legato all’ossidazione della pasta in gramola.
Come già detto la gramolazione è un’operazione indispensabile, ma è tuttavia un’operazione a rischio per l’alta ossidazione che ne deriva.
Attualmente le prove sono di due tipi : l’inertizzazione sotto gas inerti, l’azoto e l’anidride carbonica e l’isolamento delle vasche in modo da diminuire la superficie ossidabile.
I gas inerti pur rappresentando una soluzione che col tempo potrà dare utili risultati attualmente hanno determinato risultati a rischio sia per il parziale trasferimento del gas all’olio sia per i risultati non ottimali di ostacolo al processo ossidativo, tale tecnica dovrà essere messa a punto con una seria modifica delle vasche da parte dei fabbricanti e solo con una modifica sostanziale delle macchine potrà essere attuata.
La chiusura delle vasche, pur nella limitazione dell’intervento è una cosa semplice alla portata di tutti e con risultati non eclatanti, ma soddisfacenti.
Le vasche devono essere chiuse con coperchi atti a limitare lo scambio dell’aria, in materiale alimentare ed inossidabile, possibilmente in acciaio inox, con l’avvertenza di porre alla fine dell’ultima vasca un materiale trasparente, per garantire al frantoiano la vista della pasta per controllarne la maturazione, operazione fondamentale per l’avvio all’estrazione.
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CAPITOLO N° 4
ESTRAZIONE: Macchine, metodologia e cura.
Macchine: l’uomo si è sempre impegnato ad estrarre l’olio dalle olive , prima con macine di pietra, che molivano le olive entro conche, anch’esse di pietra, e consentivano di ottenere il mosto (miscela di olio ed acqua di vegetazione) per tracimazione che cadeva poi in recipienti dove per sfioramento si prelevava l’olio che naturalmente affiorava. Successivamente, nei secoli, il processo si è lentamente evoluto, passando dalle macine ai frangitori meccanici, dai torchi in legno alle presse, prima meccaniche e poi idrauliche, ma solo recentemente si è assistito ad una vera rivoluzione nel settore con l’avvento delle centrifughe, in principio impiegate solo nella separazione mosto-olio, successivamente anche nella fase pasta-mosto. Oggi, sebbene l’evoluzione continui, si utilizzano fondamentalmente due sistemi: il tradizionale con superpresse e dischi filtranti e le centrifughe. Vi sono anche altri sistemi di estrazione, quali il Baglioni od il Sinolea, (solo il secondo ha ancora una presenza degna di nota), ma la maggioranza dell’olio nel mondo lo si ottiene nei due sistemi sopra accennati.
Metodologia: Presse, Sistema Sinolea, Centrifughe.
Le Presse:
nel tradizionale, la pasta di olive viene ad essere posta su dischi filtranti, un tempo di canapa, successivamente di fibra di cocco, attualmente di fibre sintetiche ad alta resistenza, in uno strato sottile; poi questi dischi sono impilati, intervallandoli con dischi di metallo (in genere tre dischi con la pasta, uno filtrante ed uno di acciaio, etc.) su di una piattaforma con al centro un tubo forato. Nel disporre la pasta sui fiscoli l’operatore dovrà dosarla in modo uniforme formando una corona circolare con una distanza omogenea dal bordo esterno e da quello interno. Lo spessore della pasta, che pure in parte può variare in rapporto alla sua umidità, (se ne deve mettere meno se la pasta è umida) non dovrebbe superare i 3 cm. circa. Per quanto riguarda questa prima fase del processo occorre prestare attenzione alla qualità dei dischi filtranti (detti fiscoli): essi devono essere permeabili, resistenti e consentire un ottimo distacco della pasta dopo l’estrazione; inoltre è buona norma controllarne periodicamente lo stato di conservazione in modo da garantirsi contro eventuali processi di marcescenza, irrancidimento, etc., che naturalmente si ripercuoterebbero sulla qualità dell’olio. Si consiglia di procedere ad un energico lavaggio dei dischi filtranti, con acqua calda alla fine di ogni campagna e, comunque, tutte le volte che si prevede di non usarlo per alcuni giorni.
Una volta completato il “castello” (l’insieme dei dischi filtranti con la pasta e dischi metallici) questo viene sistemato sotto la pressa idraulica e sottoposto ad una pressione che in genere raggiunge le 400 atm. A questa pressione la pasta lascia defluire all’esterno, ma in parte anche all’interno, attraverso il tubo forato, il mosto, che si raccoglie in apposite vasche e da qui viene avviato alla fase successiva di separazione acqua-olio. Sarà cura del frantoiano raggiungere gradualmente, circa 45 minuti , la pressione ideale che varia in rapporto al diametro dei dischi ed al diametro del pistone( e che comunque non dovrebbe superare i 120, 140 Kg. per cm2) a questa pressione il “Castello” deve sostare per almeno 30, 35 minuti.
Il Sistema Sinolea:
il procedimento Sinolea si fonda sul principio della differente tensione superficiale esistente tra l’acqua di vegetazione presente nella pasta di olive e l’olio. Nell’estrattore Sinolea lamelle di acciaio inox penetrano, con movimento lento e continuo, nella pasta di olive in costante movimento e fuoriescono trascinando per adesione l’olio all’esterno della vasca dove il recupero avviene per naturale sgocciolamento. In questa prima estrazione l’olio viene recuperato in misura oscillante tra il 70 e il 90% del totale estraibile, senza alcuna aggiunta di acqua e a temperatura ambiente.
L’olio residuo si può estrarre sia pressando le paste parzialmente disoleate, sia inviandole alla centrifugazione, previa aggiunta di acqua tiepida fino al 70% del volume delle paste.
Le centrifughe:
l’evoluzione in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante e sembra non conoscere soste. Gli idroestrattori, normalmente chiamate centrifughe di pasta o decanter, stanno evolvendosi sino a raggiungere spettacolari risultati sia qualitativi che di efficenza. Attualmente si stanno imponendo macchine che con poche modifiche, a portata dell’operatore, possono passare dalla lavorazione tradizionale standard a “tre fasi”, ovvero olio, acqua di vegetazione e sansa con acqua aggiunta, al sistema a “due fasi” o “integrale” olio e sansa senza acqua aggiunta e a “due fasi e mezzo” olio, poca acqua di vegetazione e sansa con aggiunta di pochissima acqua. Nel sistema a ciclo continuo, la pasta passa dalla gramola alla centrifuga, attraverso pompe volumetriche (pompe mono-vite) o a vite senza fine (tipo Vitex), con aggiunta o meno di una quantità definita di acqua possibilmente a temperatura controllata, l’interno di una centrifuga e’ costituito da un cono, normalmente di acciaio inossidabile che gira a circa 2800/3400 giri. Qui per effetto fisico dovuto alla forza centrifuga interagente sul diverso peso specifico dei componenti, avviene la separazione pasta-mosto. La pasta, esaurita quasi completamente d’olio, ma con un alto contenuto d’acqua (in alcuni casi oltre il 50%), viene ad essere allontanata quale sansa, il mosto invece viene avviato alla separazione finale. Le operazioni descritte, pur riducendo di molto, rispetto al sistema a presse, l’intervento dell’operatore, gli lasciano un margine di discrezionalità che va bene usato: in particolare si intende parlare della quantità, del tipo e della temperatura dell’acqua che si aggiunge alla pasta, alla “quantità-ora” di pasta che si immette nella centrifuga ed infine alla regolazione che controlla, specialmente nelle macchine dell’ultima generazione, la lavorazione “integrale” (senza acqua aggiunta) o “due fasi e mezzo” (con pochissima acqua aggiunta). Per quanto riguarda l’acqua (acqua potabile possibilmente decalcarizzata e senza residui di cloro) sarà utile tenere presente queste indicazioni: che l’acqua non sia mai fredda (temperatura ideale circa 28°) e che venga aggiunta alla pasta nella misura minore possibile. Sulla quantità di pasta: oltre a tener conto delle portate indicate dal costruttore che, naturalmente, non vanno mai superate, si dovrà prestare attenzione al fatto che, a volte, pur con lo stesso numero di giri della pompa, fra una pasta umida ed una secca si possono registrare grosse differenze di portata reale; per cui nel passaggio da una pasta secca ad una umida, se si vuole mantenere costante la portata, si dovrà diminuire il numero dei giri della pompa. Per capire se involontariamente la portata è aumentata basterà tenere sotto controllo il getto dell’olio nel vibro-filtro: se il getto aumenta vuol dire che è aumentata la portata.
L’attenzione costante al vibro-filtro consente di tenere sotto controllo anche il buon funzionamento della centrifuga: una buona separazione deve dare un getto dell’olio “pulito” (senza eccessivi sfangamenti), con pochi residui solidi ed un getto di acqua fluida (non melmosa), senza residui pastosi di bucce e pasta d’olive; un altro controllo sull’efficacia della separazione lo si può compiere ancora più a valle andando a vedere quanto olio si recupera dal separatore dell’acqua, se è presente: se esce più di un “filo di olio” vuol dire che c’è qualcosa che non va, (rimane troppo olio nell’acqua).
Nei sistemi regolati a fase “integrale”, senza aggiunta d’acqua, l’olio esce dalla bocca normalmente destinata all’acqua di vegetazione, mentre la bocca dell’olio è inutilizzata, e l’olio deve essere sì “pulito”, ma è bene che presenti tracce evidenti di acqua di vegetazione, in caso contrario, probabilmente, la regolazione del punto di sfioro è eccessivamente alto e questo potrebbe trattenere troppo a lungo l’olio nella macchina, causandone un eccessivo incremento di temperatura, in alcuni casi si può compromettere la qualità.
Le macchine regolate in “due fasi e mezzo”, ovvero con pochissima acqua aggiunta, nell’ordine di lt. 100-200 per ql. 10 di pasta di olive, le bocche di espulsione dell’olio e dell’acqua di vegetazione sono quelle standard, ed i controlli sono simili a quelli visti per le “tre fasi”.Confronti fra i due sistemi: la grande obiezione che i tradizionalisti muovono alle centrifughe è che quest’ultime lavorando con aggiunta d’acqua, in qualche modo, operano un lavaggio dell’olio; i più recenti studi hanno messo in luce che questa credenza ha un fondamento di verità.
Recenti studi hanno rilevato che nell’estrazione con centrifughe abbiamo un prodotto che ha un contenuto in componenti polari minori superiore a quello contenuto dall’olio prodotto con sistema tradizionale, e nella varie “fasi” i CMP (polifenoli) sono distribuiti in modo differente. pertanto si ritiene che l’aggiunta d’acqua nella lavorazione di fatto contribuisca ad una alterazione dei composti aromatici.
D’altronde a tutt’oggi non sappiamo esattamente quale sia il valore di questi componenti ne’ tantomeno sappiamo se tutti questi componenti siano nello stesso modo importanti, lo studio, sopraccennato, della dott.sa Mattei/Stella/Osti ha individuato una sensibile differenza fra i componenti a seconda delle lavorazioni, ma ha altresì analizzato la stabilità ed il valore organolettico degli olii nel tempo e pare che quei componenti che vengono “lavati ” siano anche i più instabili, che conferiscano una caratteristica fragranza nel prodotto fresco, ma che nel tempo contribuiscono ad un degrado superiore del prodotto.
L’estrazione in centrifuga pare dia un olio con qualche centesimo di grado di acidità in più, ma come abbiamo già accennato, più resistente al degrado naturale.
Per quanto riguarda la resa non si hanno grandi differenze, anche se generalmente è più facile conseguire risultati leggermente superiori con le centrifughe.
Cura: come e’ stato già detto, per il mantenimento in efficienza dei sistemi tradizionali particolari cure si devono avere per tutti gli aspetti igienici;i dischi di filtraggio moderni (in fibre sintetiche) ben si prestano a lavaggi violenti ad alta temperatura che servono a liberare la trama del tessuto dai residui della pasta che altrimenti irrancidisce conferendo odori e sapori sgradevoli al prodotto nelle lavorazioni successive. Inoltre, la pulizia delle piattaforme delle presse, dei tubi di impilamento, delle vasche di raccolta e di tutto ciò che può venire in contatto con il prodotto grezzo o finito deve essere continuo e sollecito, al fine di ostacolare formazione di muffe ed irrancidimenti. Per le centrifughe il problema igienico è estremamente più semplice, è sufficiente operare all’inizio ed alla fine della lavorazione un lavaggio automatico di tutto il macchinario che essendo , nella parte che viene a contatto con il prodotto , tutto in acciaio inox, non presenta rischi di trattenere e cedere odori e sapori sgradevoli.
Particolari accorgimenti si rendono necessari solamente se si presentano, come già accennato in precedenza, olive difettose (muffite, guastate o con presenza di larve); allora si devono lavare le macchine prima dell’introduzione di una nuova partita al fine di evitare che i residui possano danneggiare il prodotto successivo.
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CAPITOLO N° 5
SEPARAZIONE: macchinario, evoluzione.
Macchinario: un tempo la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione avveniva per sfioramento; cioè con un particolare cucchiaio (lecca o sfioro) si pescava in superficie nella vasca di raccolta del mosto dopo che questo, lasciato riposare per un certo periodo, faceva affiorare l’olio, più leggero dell’acqua. Oggi si usano le centrifughe verticali, (dette separatori) qualunque sia il sistema di estrazione, che consentono ottimi risultati, sia per la velocità di separazione che per l’elevata affidabilità del macchinario. Il principio è quello classico della separazione per centrifugazione di un liquido composto da elementi a diverso speso specifico: per effetto fisico i materiali più pesanti si dispongono all’esterno ed i più leggeri all’interno. L’olio, che è la sostanza più leggera fra i costituenti del mosto, viene ad essere raccolto nel tubo interno, dopo essere passato da una serie di coni che ne trattengono le impurità, e da questo avviato al recipiente di raccolta. Anche per questa fase alcune raccomandazioni: la maggioranza degli impianti dispone ormai di due separatori, uno dell’olio (che toglie l’acqua residua) ed uno dell’acqua (che recupera l’olio che è rimasto). L’attenzione maggiore va posta naturalmente a quello dell’olio: e’ bene usare possibilmente acqua di vegetazione per l’affioramento finale dell’olio e per lo “sparo” di pulizia; usare invece acqua chiara, possibilmente decalcarizzata e tiepida (25°~30°) per la formazione del “sacco” di inizio partita. Per garantirsi del buon funzionamento verificare di tanto in tanto se c’é presenza d’acqua nell’olio (eccesso di schiuma o filetti nel getto) e di olio nell’acqua (versare un po’ di acqua del separatore in un piatto e controllare dopo alcuni minuti); in presenza di disfunzioni fermare immediatamente l’afflusso del liquido nella macchina e provvedere a pulire i coni di separazione tramite lo “sparo” di scarico, se perdurano le anomalie si dovrà provvedere al fermo macchina ed a un’accurata pulizia sia dei cono di separazione che dei vari componenti mobili e fissi del separatore.
Evoluzione: il separatore centrifugo realizza in modo continuo la separazione del mosto in due fasi liquide a diverso speso specifico e inoltre in presenza di sedimenti solidi fa si’ che quest’ultimi si depositino nella periferia dei coni di centrifugazione; le ultime macchine prodotte si dispongono automaticamente per l’espulsione dei residui solidi, provvedendo all’autopulizia dei dischi lamellari di separazione. Si stanno inoltre studiando nuove macchine idonee all’autoequilibramento del punto di separazione fra olio ed acqua; infatti a seconda dello stato di sanità e di maturazione delle olive varia leggermente il punto in cui il mosto si divide nelle due fasi liquide, sembra che queste nuove macchine possano pescare automaticamente sempre nella posizione più favorevole, diminuendo ulteriormente le tracce di olio nell’acqua e quelle di acqua nell’olio.
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CAPITOLO N° 6
CONSERVAZIONE: Recipienti, cura.
Recipienti: fin dall’antichità l’olio è stato conservato in recipienti di argilla (anfore, giare, orci) che successivamente sono stati smaltati in un primo tempo a minio (polvere di piombo) che fondeva in cottura fissandosi permanentemente all’argilla, in seguito con idonee vernici alimentari a norma delle attuali leggi; oggi accanto e sempre più spesso in sostituzione di questi si ricorre a recipienti di acciaio inox. Qualunque sia il recipiente questo deve avere idonei requisiti per la conservazione dell’olio, deve essere facilmente pulibile con acqua calda e con idonei sgrassanti, non deve in alcun modo conservare odori sgradevoli, non deve essere trasparente alla luce, possibilmente deve avere un coperchio che isoli il più possibile il prodotto dall’aria, e deve avere un fondo inclinato con idonea valvola di fondo per l’espulsione dei residui solidi che col tempo si sedimentano.
Cura: la pulizia è il primo requisito per la conservazione di un qualunque prodotto alimentare, se questo è olio l’igiene più scrupolosa diventa indispensabile; l’olio ha la capacità di assorbire gli odori dall’ambiente in cui è conservato, perciò occorre prestare attenzione ad eventuali odori di muffe, rancido ed agli odori di combustibili (benzina, gasolio e simili), che verrebbero immediatamente ad essere trasferiti al prodotto. Inoltre, è noto che la luce come il calore, è una formidabile nemica dell’olio, specialmente in presenza di clorofilla (ottimo conservante naturale al buio, tremendo ossidante alla luce). Infine la temperatura: svariate prove condotte in laboratorio hanno dimostrato, contrariamente a quanto molti pensano, l’influenza negativa delle basse temperature. Al di sotto di + 4° l’olio “gela” e si addensa; questo fenomeno, che naturalmente può verificarsi anche quando l’olio è confezionato in bottiglia, è guardato con benevolenza e spesso viene mostrato a ragione come prova della genuinità del prodotto. In realtà dopo la causa di questo addensamento l’olio subisce un rapido degrado, si “addolcisce”, perde parte dei profumi e soprattutto gran parte del sapore “fruttato”, perdendo così gran parte della propria capacità di conservarsi nel tempo.
Quindi riassumendo l’olio va conservato in recipienti idonei (acciaio inox, altri contenitori vetrificati, etc.) lavati accuratamente, in ambienti esenti da odori di qualsiasi tipo, al riparo dalla luce anche indiretta, ad una temperatura che oscilla fra i 14 ed i 18 gradi centigradi.
Per una buona conservazione ,infine, l’olio se non filtrato, andrà “cambiato”, tolto cioè da sopra i propri sedimenti, appena questi si addensano in fondo al recipiente, e tenuto possibilmente sempre “a pulito”.