Molti, per radicata abitudine più che per campanilismo, non riconoscono l’esistenza di oli di qualità migliore di quelli del proprio territorio (o della propria regione). Nulla di più sbagliato. Si tratta, invece, di sfruttare al meglio le doti peculiari di ciascun olio: fondere insieme gusti e sapori o aggiungere aromi particolari, arricchendo e amalgamando.
Un felice incontro tra olio e cibo ha il compito di esaltare le qualità di entrambi. Non ci sono regole rigide, solo qualche suggerimento e alcune riflessioni, ad evitare abbinamenti azzardati, fatte salve le preferenze di ognuno.
Pietanze tipicamente regionali tradizionalmente si accompagnano a oli (e vini) locali: una liturgia secolare che fonde profumi e sapori ben identificati e caratteristici, affermando un’identità culturale ricca di esperienze, impegno e fantasia.
Ma la piacevolezza viene talvolta dal contrasto, quando l’olio esprime valori opposti a quelli del cibo (l’amarognolo deciso di certe verdure e insalate con la dolcezza di un olio ligure o gardesano) o per affinità, con l’assecondare i connotati del piatto per sapore, per struttura, per entrambi (la delicatezza di un pesce al vapore o della maionese, per non essere sopraffatti esigono la compagnia di un olio soave, così come una zuppa di legumi lega con oli fruttati, pieni, saporiti, come quelli della Toscana centrale).
In tutti i casi, dare piena cittadinanza in cucina all’olio extravergine di oliva, in cottura e massimamente a crudo, non rinunciando al piacere di assaggiare e usare prodotti delle diverse zone d’Italia è una condotta che favorisce il benessere fisico.
Oggi le virtù dietetiche dell’olio di oliva sono note: ricchezza in acidi grassi monoinsaturi (incidono positivamente sulla regolazione del livello di colesterolo nel sangue), digeribilità, aiuto nell’assimilazione di vitamine e minerali, potere antiossidante che agisce anche sul metabolismo umano contribuendo a migliorare e mantenere l’efficienza dell’organismo.